Entro il 2030 i Millennial rappresenteranno il 32% della forza lavoro mondiale e la Generazione Z il 34%. La Generazione X scenderà al 23% e solo pochi Baby Boomers (principalmente capitani d’azienda e grandi manager) continueranno la routine della vita lavorativa.
È facile intuire come l’attenzione globale sia sempre più spostata verso queste due generazioni, molto simili ma al tempo stesso radicalmente diverse.
Ne abbiamo già parlato: le aziende che riescono a trasformare la diversità in potenziale sono quelle che resisteranno meglio al passare degli anni. Non si tratta solo di differenze in termini di genere, di provenienza o di credo religioso, ma anche di età: i manager che riescono a fare leva sulla diversità generazionale possono contare su un continuo fluire di competenze, attraverso l’apprendimento esperienziale.
Non sempre però la convivenza è facilmente gestibile.
Millennial e Gen Z: differenze e punti d’incontro
I Millennial (la Generazione Y) sono nati tra il 1982 e il 1996: hanno vissuto gli anni “analogici” ma sono stati anche i primi nativi digitali, crescendo tra PC e cellulari. Proprio per questo sono sempre tra i primi ad adottare nuove tecnologie, a provare nuove app e a lanciarsi nelle attività imprenditoriali più rischiose.
Dall’altro lato la Gen Z (Centennial), i nati tra il 1997 e il 2010, ha vissuto fin da subito in un mondo dove internet e digitale sono a portata di mano e dove i social media sono una costante ormai normalizzata da tempo. È esperta in tutto ciò che è digitale, più competente rispetto alla generazione precedente, ma meno curiosa verso le novità di ogni giorno.
I Millennials sono idealisti e un po’ narcisisti, sentono spesso il bisogno di un riconoscimento esterno e immediato, e hanno una visione del lavoro aspirazionale. La Gen Z d’altra parte è più pragmatica e vuole provocare un impatto positivo nel mondo, ricevendo di diritto dalle aziende i benefit che ritiene necessari.
Ma alla luce di queste diversità, cosa rende così simili queste quasi tre decadi di individui? Principalmente tre preoccupazioni:
- il costo della vita in costante crescita, che spesso non permette di risparmiare per il futuro
- il cambiamento climatico, per il quale sentono di poter e dover fare qualcosa
- il rischio del burnout, sempre più frequente negli under 40
Ma anche tre modi di vedere il mondo del lavoro:
- vogliono crescere professionalmente e personalmente
- cercano uno scopo e conseguentemente un’azienda allineata ai propri valori
- hanno bisogno di un maggior equilibrio vita-lavoro, attraverso politiche aziendali che mettono la flessibilità al primo posto
Come orientare le scelte per creare un team multigenerazionale solido
È innegabile come la diversità sia un fattore competitivo, ne abbiamo parlato proprio all’inizio di questo articolo. Per l’azienda è importante capitalizzare sulle competenze proprie di ogni generazione, supportandone bisogni e aspettative.
Un primo passo è sicuramente la creazione di un workspace ibrido, uno spazio fisico e virtuale dove i diversi membri del team possano socializzare e collaborare, secondo le necessità di ognuno. Bisogni che hanno a che fare con il luogo di lavoro, con gli orari o semplicemente con il voler stare in gruppo o da soli.
Il feedback dal manager all’individuo dovrà essere costante (soprattutto con i Millennials), ma calibrato in base all’interlocutore, soprattutto nel linguaggio. Modi di dire o battute possono essere recepiti in maniera estremamente diversa da un quarantenne e da un ventenne.
I Millennials possono rappresentare in questo momento storico il “ponte” ideale tra i più giovani e i nati prima del 1981: un asset importante per aiutare il fluire delle competenze tecnologiche da un lato e delle competenze sociali ed esperienziali dall’altro. Imparando da entrambe le parti al tempo stesso.
L’importante come sempre è ascoltare, osservare e ricalibrare gli sforzi delle risorse umane ogni giorno: d’altronde tutti, indipendentemente dalla generazione, siamo in continua evoluzione.