Un tempo l’aspirazione più grande era un lavoro a tempo indeterminato, da conservare per tutta la vita e fare carriera. Gli ultimi decenni hanno però cambiato drasticamente il mercato del lavoro, sempre più fluido e meno legato alle consuetudini del passato.
Lasciare un’occupazione dopo pochi mesi o qualche anno non è più un qualcosa da guardare con sospetto, ma la normalità in molti settori. C’è chi lascia un’azienda per migliorare il suo status professionale, chi per ottenere una maggiore flessibilità oraria oppure in cerca di un cambiamento e nuove sfide.
Panta rei. Tutto scorre e nulla permane. Anche nel mondo del lavoro.
I Millennials – nati tra il 1981 e il 1996 – sono anche chiamati “The Job-Hopping Generation” (“la generazione che salta da un lavoro all’altro”): si sentono distaccati dalle proprie aziende, poco valorizzati e spesso infastiditi dalla mancanza di inclusività.
La Gen Z – nati tra il 1996 e il 2012 –ha, al contrario, una visione più stabile del futuro, ma aspettative sul workplace molto alte rispetto alle generazioni precedenti.
Un ricambio continuo di personale si traduce anche in un costo per le aziende: si perdono talenti, si vanificano gli sforzi di creazione di cultura aziendale e tassi di rotazione molto elevati dei dipendenti possono comportare ingenti costi di back office, selezione di nuove risorse, formazione e onboarding.
È quindi imperativo trovare modi sempre nuovi per fidelizzare i collaboratori, trasformando team di lunga data in value points agli occhi dei potenziali talenti in cerca di occupazione.
L’employer branding è una strategia molto vicina al marketing che migliora la percezione dell’azienda da parte dei collaboratori, di personale in fase di recruiting e infine quello dei clienti, così come il clima positivo aziendale è di vero supporto nella misura in cui valori e cultura sono condivisi.
Ecco alcuni spunti utili:
1. Rivalutare i salari e bonus
Sembra scontato ma l’aspetto monetario rimane tra i vantaggi competitivi di un’azienda, sia verso i suoi dipendenti, sia verso i potenziali futuri collaboratori. Se non è possibile aumentare gli stipendi, i bonus rappresentano un’ottima alternativa: l’importante è impostarli su obiettivi raggiungibili.
2. Concedere flessibilità
Smart working, lavoro ibrido, possibilità di scelta degli strumenti più adatti a ogni progetto: la flessibilità può avere molte forme e ascoltare i propri collaboratori è il primo passo per scoprirne le reali necessità.
3. Dare e ricevere feedback
La comunicazione è una strada a due sensi: è necessario imparare a ricevere riscontri positivi e negativi, oltre che a fornirli. Da questo genere di conversazioni possono scaturire criticità fondamentali per migliorare la qualità del luogo di lavoro e la produttività, di cui non si era a conoscenza.
4. Offrire benefit e vantaggi
Sconti in determinati negozi, l’asilo all’interno dell’azienda, un parcheggio più ampio, giorni aggiuntivi di vacanze ecc. Quali sono i “privilegi” che potrebbero interessare maggiormente ai collaboratori di un’azienda?
Anche in questo caso è fondamentale ascoltare i collaboratori, per scoprire quali sono i “privilegi” che migliorerebbero la vita lavorativa.
5. Incentivare la formazione
Studiare non è solo un modo per migliorare la propria produttività: aiuta a stimolare la creatività e a sviluppare il senso critico. L’attivazione di strumenti per diffondere il benessere organizzativo, motivare e migliorare la soddisfazione rispetto al proprio ruolo in azienda, rende meno inclini a cercare un nuovo lavoro. Che si tratti di imparare una lingua straniera o gestire meglio il proprio tempo in azienda, i corsi possono essere costosi o difficili da programmare in agenda. Perché non inserirli all’interno delle ore lavorative?
Le strategie possono essere molteplici, ma si basano sempre sullo stesso principio: ascoltare.