Viviamo in un periodo storico nel quale mail, articoli di giornale e telefonate annegano in un utilizzo spropositato di termini anglosassoni, dei quali spesso e volentieri non conosciamo il reale significato. Il risultato? Parole che nel tempo prendono un senso comune diverso e leggermente distorto.
Gran parte di questo lessico ha a che fare con il mondo del lavoro, fluido e in continua evoluzione, in balia delle infinite e giornaliere trasformazioni digitali che hanno rivoluzionato le nostre vite.
Si sente spesso parlare di telelavoro, smart working, flexible working, agile working… ma sappiamo veramente di cosa si tratta? La risposta è molto chiara: nella maggior parte dei casi no. Non per mancanza di interesse, ma semplicemente perché ci siamo abituati a comprendere nello smart working tanti modi di lavorare diversi.
Oggi approfondiamo un po’ il tema, per avere un’idea più chiara delle (a volte microscopiche) differenze.
Telelavoro, smart working, agile working e flexible working: le differenze
Partiamo da un presupposto fondamentale: ci sono delle differenze sostanziali tra i termini che stiamo per utilizzare in ambito organizzativo (il nostro focus) e in ambito legislativo. Lo smart working come definito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nella Legge n. 81/2017, è un concetto ampio, che include nella realtà dei fatti anche l’agile working.
A livello aziendale e di gestione del lavoro, possiamo invece pensare a queste tipologie come se si trattasse di un diagramma di Venn concentrico, al centro del quale troviamo il telelavoro e nel cerchio più ampio (e quindi più avanzato) l’agile working.
Il telelavoro è molto semplice da comprendere: si svolgono le stesse mansioni, agli stessi orari ma in remoto. Il cosiddetto “lavoro da casa”.
A un gradino successivo troviamo il flexible working, che al telelavoro aggiunge anche il concetto di tempo: in questo caso il lavoratore può scegliere (secondo quando stabilito con il datore) il luogo in cui svolgere le sue mansioni e quando. L’obiettivo è il completamento di un progetto entro la scadenza stabilita.
Passiamo quindi al tanto nominato smart working, entrato in gioco grazie alle innumerevoli innovazioni tecnologiche degli ultimi anni. In questo caso si parla di responsabilizzazione del dipendente, che sceglie quando e dove lavorare, così come gli strumenti più efficienti da utilizzare. L’obiettivo è un miglioramento della propria performance, correlato a un benessere lavorativo più alto, che lascia spazio maggiore alla sfera personale.
Con lo smart working diventano dinamici anche gli spazi istituzionali, con il cosiddetto smart space: l’ufficio si ri-configura secondo l’esigenza e le postazioni possono essere modificate nel tempo.
Il concetto di responsabilità diventa ancora più importante quando passiamo all’agile working. In questo caso il modo di lavorare rimane lo stesso, ma viene “ri-configurato” l’approccio generale, più incentrato sul singolo progetto che sulla mansione (contrattuale) della persona. I team includono individui diversi, interni ed esterni all’azienda, che prendono ruoli diversi e adatti alle proprie competenze personali di progetto in progetto. Decade quindi (seppur temporaneamente) la tradizionale gerarchia aziendale, per fare posto a un’organizzazione più flessibile e adattiva, che riduce i tempi di produzione e coinvolge maggiormente il singolo.
Il concetto di smart space diventa qui ancora più importante: il luogo di incontro può essere una serie di scrivanie libere, da occupare secondo esigenza, una sala riunioni o, perché no, l’angolo relax.
Perché alla fine al giorno d’oggi, per tanti lavori, un laptop e una connessione internet sono tutto ciò che serve.